Quanto consuma di corrente una stufa a pellet?
Se la stufa a pellet è da sempre l’alternativa più economica al riscaldamento tradizionale, non tutti conoscono quanto consuma la stufa a pellet per la corrente.

La stufa a pellet negli ultimi anni è diventata la prima scelta per adottare una soluzione alternativa e più economica al riscaldamento tradizionale a gas, tramite termosifoni e caloriferi.
Specialmente nell’ultimo anno, con la crisi economica ed energetica, e il conseguente caro energia, sempre più persone hanno preso in considerazione la possibilità di installare nelle proprie case questa tipologia di stufa, benché anche questa non sia stata risparmiata dall’aumento dei prezzi record.
E se per molte persone la spesa principale di cui ci si preoccupa – conoscendone il valore – al di là del costo per installare la stufa, è quello della materia prima, con il prezzo del pellet che è lievitato. Eppure altra spesa che bisogna conoscere, prima di scegliere se comprare una stufa a pellet, è quanto consumi di corrente. Ecco tutto quello che c’è da sapere a riguardo.

Quanto consuma di corrente una stufa a pellet?
Se è vero che la stufa a pellet è stata considerata una valida alternativa più economica al riscaldamento tradizionale, non tutti sono a conoscenza di quanto consumi la stufa a pellet di corrente, in modo che si possa conoscere la reale spesa che si dovrà affrontare ogni mese: addizionando la spesa del pellet a quella della corrente. Cerchiamo di andare con ordine per conoscere la risposta.
Bisognerà effettuare alcuni calcoli per i diversi consumi energetici. La potenza elettrica è espressa in chilowatt (kW) e rifacendosi al prezzo del mercato tutelato risalente al 12 gennaio 2023, 1 kWh costa 0,361 €/kWh.
Ora, stando a Risparmiare energia, l’accenditore elettrico di una stufa a pellet può impiegare circa 170-180 watt e occorrono da tre a cinque minuti per comburere il pellet di legno chiaro in una stufa – benché potrebbe richiedere più tempo in alcuni casi. In generale l’accensione richiede circa 10 minuti. La spesa per accendere la stufa è dunque facile da calcolare. Il consumo di corrente è di 0,175 kW x 0,361 €/kWh = 0,06 €/h (ossia 6 centesimi l’ora). Se l’accenditore è acceso solo per dieci minuti su sessanta minuti in un’ora, 1/6 x 0,06 €/h = 0,01 €/h per ciclo di accensione. Se vi sono più accensioni giornaliere, basta quindi moltiplicare tale spesa per il numero di accensioni.
I motori dei ventilatori assorbono circa 2,5-3,0 Ampere per funzionare, che corrispondono a circa 300 watt l’ora nel peggiore dei casi, cioè per i modelli più grandi. Con il prezzo medio di un chilowatt a 0,361 €/kWh, il costo medio per far funzionare la stufa sarebbe di 0,300 kWh x 0,361 €/kWh = 0,10 €.
Se una stufa viene usata in media per 12 ore al giorno, la spesa sarebbe essenzialmente quella legata ai ventilatori, che al massimo sarebbe di 0,1 € x12 ore= 1,2 €. Molte volte, però, una stufa non è necessario che sia utilizzata così tante re e potrebbe non usare ventole così energivore: una stufa a pellet economica può consumare anche soli 100 watt (0,1 kW), pari a 36 centesimi l’ora. Grazie alle ventole, la stufa a pellet garantisce una migliore circolazione del calore, rispetto alle stufe a legna o agli apparecchi di riscaldamento senza ventilatore.

Stufa a pellet, come risparmiare
Certamente sono numerosi gli accorgimenti da dover adottare per poter risparmiare, magari consumando meno pellet. Tra i diversi accorgimenti per poter risparmiare sulla spesa totale.
Tra cui ad esempio, risparmiare sul pellet, comprandolo in primavera o estate quando la domanda è ancora bassa rispetto al periodo autunnale, quando più persone cominciano a comprare il pellet per l’inverno. Ancora, per poter risparmiare sarebbe preferibile acquistare il pellet sfuso, anziché confezionato in sacchi singoli, in quanto l’imballaggio influisce sul costo finale.
Inoltre per ottimizzare la performance della stufa, consumando meno pellet possibile, occorre impostare correttamente il bruciatore. Infatti, l’accensione della stufa è il momento che richiede maggior dispendio energetico, inoltre bisogna regolare anche il termometro. In questo modo la stufa riscalderà gli ambienti più velocemente e una volta raggiunta la temperatura la potenza diminuirà fino ad andare a regime, consumando meno pellet.
Fonte:money.it
Riduzione Iva sul pellet, gli emendamenti alla legge di Bilancio 2023
Tra gli emendamenti segnalati alla Camera spuntano due diverse richieste di modifica per abbassare l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto al 10% o 5%

L’Italia è uno dei Paesi con la più alta aliquota IVA sul pellet
(Rinnovabili.it) – Potrebbe alleggerirsi il prezzo dei pellet sul mercato italiano. La proposta è stata inserita tra gli emendamenti alla legge di Bilancio 2023, oggi in mano alla Commissione V della Camera dei deputati. Nel dettaglio nel fascicolo di emendamenti segnalati appaiono due proposte di modifica per abbassare l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per il pellet, che attualmente è del 22%. Entrambe intervengono sulla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 ma in maniera differente. La prima a firma degli onorevoli Fornaro, Serracchiani, Guerra, chiede di inserire il combustibile tra i beni e servizi soggetti ad un’IVA del 5 per cento. La seconda, presentata dagli onorevoli Molinari, Foti, Cattaneo e Lupi, chiede di includere i peli tra i prodotti con IVA al 10%.
Le misure sebbene con portate differenti puntano allo stesso scopo: calmierare il prezzo del combustibile da riscaldamento. Trascinata dai rialzi del prezzo del gas, anche la biomassa legnosa ha fatto lievitare i costi in questo 2022. Al punto che se per comprare un pacco da 15 kg di pellet lo scorso anno bastavano 4 euro, oggi ci voglio almeno 12-15 euro in media. Un costo su cui l’IVA incide sensibilmente.
E come ricorda oggi l’AIEL, attualmente l’Italia è uno dei Paesi con la più alta aliquota su questo combustibile. Non è stato sempre così. Fino al 2014 infatti l’IVA sul pellet era fissa al 10% ma la Legge di Stabilità 2015 (Legge 23 dicembre 2014 n 190) ha innalzato l’aliquota al 22%. “La riduzione strutturale dell’aliquota IVA sul pellet porterebbe un immediato contrasto alla povertà energetica”, commenta l’AIEL in una nota stampa. “E sarebbe in linea con quanto fatto da altri Paesi dell’Unione europea, come Spagna, dove l’Iva è stata recentemente portata dal 21% al 5%, e Croazia, in cui, attraverso due differenti azioni politiche, l’imposta è stata prima ridotta dal 25% al 13% e poi dal 13% al 5%.”
Fonte:Rinnovabili.it
Pellet, prezzi spropositati? Contro il caro bollette, tre alternative da prendere in considerazione
Ci sono varie alternative al pellet, i cui prezzi hanno raggiunto cifre mai viste prima: contro il caro bollette, si possono provare mais, gusci di frutta secca e cippatino di legna.
Nonostante un autunno particolarmente tiepido, l’inverno si avvicina e i prezzi del pellet continuano a crescere e a raggiungere costi spropositati. Questa biomassa è ancora conveniente contro il caro bollette? In vista dunque della stagione fredda, è opportuno sapere che è possibile far bruciare nella propria stufa combustibili e biomasse nettamente più economiche del pellet, anche se meno efficienti e con qualche svantaggio.
In questo articolo, discutiamo tre possibili alternative, segnalando i pro e i contro. Il miglior sostituto del pellet è il nocciolino di sansa vergine, ma anche questa biomassa negli ultimissimi tempi sta subendo rincari importanti, che l’hanno portato a sfiorare i 60 euro al quintale. Le alternative sono rappresentate allora dal mais, dai gusci di mandorle e dal cosiddetto cippatino di legna. Per risparmiare, è opportuno rivolgersi a questi altri combustibili.
Il mais come biomassa – risparmiare sul pellet contro il caro bollette
Una delle alternative al pellet è rappresentato dal mais. I chicchi regolari, una volta essiccati, date le loro dimensioni e la loro forma, sono particolarmente adatti come biomassa. Il costo è indubbiamente inferiore a quello del pellet, anche se va sottolineato che è soggetto a notevoli fluttuazioni di mercato, a seconda del periodo dell’anno e di altre contingenze climatiche.
In realtà, il mais raramente viene utilizzato da solo, perché tende a creare agglomerati particolarmente duri nel braciere. La sua utilizzazione però è estremamente controversa dal punto di vista ‘etico’: la ragione è che si tratta di un prodotto alimentare destinato invece a divenire biomassa. In periodo di crescente crisi, sono in molti che si chiedono se sia moralmente corretto utilizzare del ‘cibo’ per scaldarsi.
I gusci di mandorlacome biomassa
Un’altra soluzione alternativa al pellet è rappresentata dai gusci di mandorla.
Una volta essiccate e macinate, hanno un costo nettamente inferiore a quello raggiunto dal pellet e, quando certificati per la combustione, non sono neanche dannosi per la coclea.
Lo svantaggio maggiore di questa biomassa è data dal basso potere calorifico e dal peso specifico nettamente inferiore a quello del pellet. Qualora si optasse per questa soluzione, bisognerebbe comunque fare grandi scorte e avere spazi adeguati come deposito.
Il cippatino di legna
Concludiamo con la terza possibile alternativa al pellet. Si tratta del cosiddetto ‘cippatino di legna’, che presenta un costo particolarmente contenuto e, quello in vendita e pensato per la combustione, può essere tranquillamente utilizzato nella stufa a pellet. Da tenere in conto sono soltanto le dimensioni che non devono superare una certa soglia che può inceppare la coclea. In più, è possibile autoprodurre questa biomassa, dotandosi di un cippatore.
Un ulteriore svantaggio è dato dal potere calorifero piuttosto basso, circa 3.0-3.5 kWh/kg, ragion per cui, come per i gusci di mandorla, occorre avere spazi adeguati (e sufficientemente asciutti) per lo stoccaggio. Occorrerà poi miscelarlo con altre biomasse, pellet o nocciolino, perché ha la tendenza ad agglomerarsi e a non permettere l’adescamento della coclea.
Il suggerimento conclusivo è di testare queste alternative con l’aiuto di esperti, qualora non sia abbia grande dimestichezza e si voglia comprendere fino a che punto le nostre esigenze possono essere soddisfatte dall’una o dall’altra alternativa.
Fonte:investireoggi.it
Pellet: con i nuovi standard ENplus più tutele sulla qualità
Pellet: con i nuovi standard ENplus più tutele sulla qualità

Maggiore tracciabilità e sorveglianza, nuovi parametri e governance trasparente: la revisione dello schema di certificazione del pellet introduce novità importanti.
Lo schema ENplus®, il più utilizzato al mondo e impiegato in Europa per la certificazione dell’80% del pellet a uso domestico, è stato rivisto. Il vecchio manuale lascia il posto a tre nuovi standard denominati ENplus® ST 1001 (dedicato ai requisiti per le aziende), ENplus® ST 1002 (con i requisiti per gli Organismi di certificazione e di analisi) ed ENplus® ST 1003 (con i requisiti per l’utilizzo del marchio registrato Enplus).
I nuovi parametri riguardano sia il pellet sfuso sia i big bag. Le aziende che acquistano e rivendono big bag dovranno quindi valutare la necessità di ottenere una propria certificazione ENplus per evitare che si interrompa la catena certificata.
Tracciabilità di filiera e verifiche
I nuovi standard permetteranno di avere un maggior controllo sulla filiera del pellet, individuando più facilmente prodotti non-conformi.
A questo scopo cambiano anche i packaging: le grafiche dei sacchi dovranno avere un numero di serie grazie al quale sarà possibile risalire all’azienda che ha curato il confezionamento del pellet, con data e linea d’insacco.
Si intensificano anche le verifiche ispettive. ENplus® eseguirà verifiche annuali di sorveglianza e di ricertificazione, recandosi fisicamente nelle aziende produttrici. Gli ispettori dovranno conoscere in modo approfondito il settore forestale e partecipare a specifici corsi di formazione e workshop ENplus®.
Per garantire la conformità del pellet è inoltre previsto un campionamento annuale “a sorpresa” presso i produttori certificati e le stazioni d’insacco. L’Organismo di certificazione, in caso di prodotti non-conformi, potrà proporre azioni correttive.
I requisiti del pellet di qualità
In linea con la revisione della norma tecnica ISO 17225-2 le analisi del pellet dovranno includere tre nuovi parametri: densità particellare, quantità di particelle fini grossolane e quantità di pellet con lunghezza inferiore a 10 mm.
La revisione ENplus® prevede anche nuovi e dettagliati requisiti legati alle attività di auto-monitoraggio aziendale, sia del processo produttivo, sia delle fasi di movimentazione, caricamento e confezionamento del pellet.
Entrata in vigore: 1 gennaio 2023
I nuovi standard revisionati entreranno in vigore il 1 gennaio 2023.
Le aziende già certificate prima di questa data dovranno conformarsi entro il 1 gennaio 2024, poiché è previsto un periodo di transizione di un anno.
Ricordiamo che il riscaldamento a pellet è attualmente incentivato fino a dicembre 2022 tramite Ecobonus, conto termico e bonus ristrutturazioni.
Fonte:infobuild.it
Differenza tra Pellet: Canapa e Nocciolino, le alternative economiche ancora poco conosciute
La differenza tra Pellet, Pellet di Canapa e Nocciolino è principalmente di tipo economico. In Italia, per risparmiare, si cominciano a valutare le alternative.
Grazie a Internet oggi possiamo trovare numerose informazioni, anche se vanno vagliate attentamente. E scoprire alcune alternative più economiche al classico Pellet.

Le notizie quotidiane non sono molto rassicuranti, per quanto riguarda il prossimo inverno. I Governi stanno ancora “litigando” su tetti al prezzo del gas, aiuti e razionamenti. I cittadini invece, pensano a come risparmiare sul riscaldamento.
A Milano e in altre città i Sindaci stanno già prendendo i primi provvedimenti. L’accensione dei termosifoni slitta alla fine di ottobre. Per fortuna che al momento ci sono temperature al di sopra della norma. Ma, intanto, si taglia.
Come se non bastasse, diventa sempre più insistente la “preparazione” della popolazione ai lockdown energetici. Qualcosa che fino a pochi mesi fa era impensabile, addirittura di stampo distopico, si sta materializzando sotto i nostri occhi.
I Governi hanno già diversi piani di emergenza, pronti a sfoderarli nei mesi più duri dell’inverno. Distacchi programmati di elettricità, tra dicembre e gennaio, e persino stop alle attività industriali. Lo scenario è davvero inquietante.
Nel mentre, le persone continuano a ricevere bollette esorbitanti. Devono fare i conti con un’inflazione che ormai è al 10%. Tagliare i consumi, risparmiare, non-fare insomma.
Ma l’inverno non starà certo ad aspettare le decisioni dei Governi o della UE. Tra poco farà freddo e le persone dovranno scaldarsi senza dover scegliere se pagare il combustibile oppure fare la spesa. In questo scenario da incubo fortunatamente spuntano delle alternative.
Differenza tra Pellet, Pellet di Canapa e Nocciolino, le alternative economiche ancora poco conosciute
Anche se il prezzo del Pellet è praticamente raddoppiato, gli esperti assicurano che si tratti di un sistema ancora vantaggioso per scaldarsi. Ovviamente per chi possiede già una stufa capace di bruciarlo. Perché adesso anche comprarne una non molto semplice. Nonostante alcuni incentivi da sfruttare, chi desidera passare al Pellet deve investire diverse migliaia di Euro. Inoltre non tutti possono adottare questo sistema, per ovvie ragioni tecniche.
Chi però ha una stufa a Pellet sta cercando il modo per risparmiare. Al momento, esistono due alternative. Il Pellet di Canapa e il Nocciolino. Cosa sia il Pellet classico lo sappiamo: cilindretti di combustibile ricavati da scarti di legna non trattata.
Il Pellet di Canapa, anche se simile, deriva dalla lavorazione del gambo della canapa, che viene trasformato per diventare combustibile. Se qui in Italia è da poco che cominciamo a sentirne parlare, in Canada è molto usato. Si rivela più economico perché produrlo costa di meno. Infatti il legname da cui poi proviene il Pellet deve “crescere” per almeno 5 anni. La Canapa raggiunge invece la sua maturazione in pochi mesi.
Chi desidera trovare Pellet di Canapa può cercare in rete. Anche se nel nostro Paese non viene prodotto, alcune aziende stanno già pensando di entrare in questo nuovo mercato. Nel mentre possiamo acquistarlo in molti marketplace, a prezzi abbastanza convenienti.
Lo stesso discorso vale per il Nocciolino. Come si evince dal nome, questo tipo di bio-combustibile deriva dai noccioli di oliva (o altro), ed è adatto per produrre calore. Non è però pellettizzato e si presenta con una consistenza granulare.
Chi ha una stufa a Pellet può valutare senza dubbio di passare a questi altri tipi di combustibile, ma ci vuole accortezza. Infatti per poterli bruciare è necessario effettuare alcune modifiche al braciere o alla ventola della stufa.
Dunque le alternative economiche esistono, e molto probabilmente in futuro avremo più scelta e prezzi più accessibili. Ma prima di passare al Pellet di Canapa o al Nocciolino è bene informarsi col proprio installatore, per verificare se la stufa è idonea.
Fonte:informazioneoggi.it
Pellet: la classifica dei marchi che costano di più
I prezzi di vendita del pellet sotto la lente di Altroconsumo.
Un confronto costi per fare i conti in vista del prossimo caro bolletta.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un raddoppio dei prezzi per il pellet rispetto all’anno scorso e Altroconsumo si è impegnato in un’indagine approfondita per capire quali marche di biomasse abbiano risentito maggiormente dell’aumento dei costi dovuto alla crisi energetica.
Si parla di aumenti contestualizzati rispetto al persistere del conflitto tra Russa e Ucraina, principale fattore scatenante della brusca impennata. Per l’approvvigionamento infatti ricordiamo che l’Italia è decisamente dipendente dall’import ma, in particolare, subisce molto l’influsso della guerra poiché in larga parte compra biomasse che derivano da scarti di lavorazione del legno provenienti proprio dalla Russia, dall’Ucraina e dalla Bielorussia, alleato strategico di Putin. Senza contare l’influenza che il costo del trasporto, connesso all’aumento dei prezzi del gasolio e della benzina, ha un forte peso sul listino finale.
Per contenere il più possibile i costi è quindi necessario affidarsi ad una guida d’acquisto, o meglio, ad una classifica accurata sui valori registrati nei principali punti vendita nazionali. Quest’indagine dell’Associazione dei Consumatori si affianca poi a quella condotta da l’Aiel che segnala le oscillazioni di questi ultimi mesi.
Sotto la lente di ingrandimento infine le modalità attraverso le quali evitare eventuali truffe a danno dei consumatori.
Secondo gli studi di Altroconsumo un sacco di pellet da 15 kg in media è passato dai circa 5 euro dello scorso anno ai 12 euro in media di questo ottobre, con punte di oltre 25 euro al sacco nei casi più critici. L’aumento tocca vette del +140%.
Per dare un’idea l’associazione riporta un esempio chiave:
«Per riscaldare un appartamento da 100 metri quadrati, una famiglia spenderà oltre 1.300 euro nel 2022-2023, ovvero il doppio, rispetto all’anno precedente».
L’indagine di Altroconsumo non è però la prima sul tema. Vengono infatti riportati anche i dati dell’Aiel, l’Associazione italiana energie agroforestali, che si era occupata di monitorare l’oscillazione nell’arco del 2022, dallo scoppio del conflitto a oggi. Possiamo infatti vedere come i prezzi registrati a settembre siano schizzati rispetto al gennaio di quest’anno passando da una media di 5,16 euro per 15 kg a 10,53 euro nel solo mese di settembre.
L’andamento dei prezzi: i marchi più costosi
Altroconsumo ha effettuato uno studio sui listini prezzi presso 65 punti vendita nelle province di Padova, Monza e Brianza, Bolzano, Reggio Calabria e Cagliari. Tenendo conto quindi anche delle possibili oscillazioni regionali.
L’indagine sui prezzi ha coinvolti 11 diversi prodotti e ha come riferimento il prezzo minimo per un sacco da 15 kg:
- Adriacoke professional pellets – made in Canada 11,50 euro;
- Binderholz red pellet 13,00 euro;
- Florian woody pellets 8,90 euro;
- Geminati euro pellet 9,95 euro;
- HS Holzexport Schuster pettels 12,20 euro;
- La Tiesse Brucciolo 12,50;
- Savichem Wald Meister 12,20 euro;
- Firestixx Premium pellets 22,90 euro;
- Woodtech Italia Swiss Warme 13,60 euro;
- Pfeifer Holzpellet 11, 50 euro.
Veniamo ora ai brand più costosi.
I picchi più critici, ai massimali, li toccano:
- Firestixx Premium Pellets con 22,90 euro;
- Woodtech Italia Swiss Warme 25,20 euro;
- Pfeifer Holzpellet 26,89 euro.
A cosa stare attenti quando si compra pellet
Il consiglio più utile per evitare truffe è quello di acquistare pellet certificato e di non improvvisare sostituzioni con altri combustibili non compatibili; si rischia di rovinare l’apparecchio, aumentare le emissioni e le ceneri ma soprattutto di compromettere la propria sicurezza. Attenzione anche a non affidarsi a inserzioni online.
Altroconsumo suggerisce:
«Se il prezzo è simile a quello dello scorso anno diffidate, è possibile si tratti di prodotti importati illegalmente, diversi rispetto a quanto dichiarato e, insomma, di vere e proprie truffe in cui si rischia che il prodotto non arrivi. Per il futuro, è sempre meglio acquistare in fase prestagionale, tra Maggio e Agosto, in cui i prezzi sono più bassi».
Fonte:money.it
Pellet chiaro o scuro?
Spesso nei consumatori si riscontra una convinzione, errata, secondo la quale il pellet chiaro possegga una maggiore qualità rispetto allo scuro. Ma il suo colore o qualsivoglia scala cromatica non ne determinano la qualità, che viene, al contrario stabilita dagli enti preposti tenendo conto di ceneri, umidità, potere calorifico, presenza e quantità di sostanze chimiche, elementi che i produttori di pellet inseriscono sulle buste.
Ad esempio le colorazioni opposte di pellet di castagno (scuro) e di abete (chiaro) sono comunque associate alle stesse caratteristiche qualitative delle due tipologie.
Il colore del pellet, inoltre, può essere influenzato dal processo produttivo. Per produrlo la legna va essiccata e se questa lavorazione viene svolta, ad esempio, con un sistema a tamburo rotante che funziona a temperature alte, si ottiene pellet più scuro rispetto ad una essicazione con macchinari a basse temperature.
Se invece la legna viene decortecciata il pellet sarà più chiaro e di qualità migliore perché la corteccia contiene più ceneri rispetto alla parte nobile della legna.
La massima garanzia per il consumatore resta la certificazione che stabilisce oggettivamente la presenza di polveri e sostanze chimiche, le loro quantità tollerate e la durabilità meccanica.
Fonte:valtellinamobie.it
Pellet economico è rischioso per la salute
Gli esperti mettono in guardia dalle conseguenze del pellet a basso costo: può danneggiare le vie respiratorie
Il prezzo del pellet è aumentato in modo spropositato a causa della crisi energetica: dai circa 4 euro al sacco della scorsa stagione è passato ai 13 euro di oggi.
Acquistarlo online a prezzi più bassi potrebbe non essere la soluzione per risparmiare e potrebbe avere dei rischi per la salute. A dirlo sono gli esperti della Società italiana di allergologia, asma e immunologia clinica (Siaaic), durante il congresso nazionale che si chiude oggi a Verona.
Stufe a pellet vecchie o usate male con prodotti non certificati, ad esempio con il pellet a basso costo comprato online, ottenuto con troppa segatura e sostanze chimiche, possono diffondere emissioni che irritano le mucose e danneggiano le vie respiratorie, soprattutto nelle persone più fragili come anziani, bambini e persone allergiche.
“Se le stufe sono molto vecchie e i prodotti di scarto non certificati, i fumi del pellet sono tra i peggiori inquinanti in circolazione” dichiara Gianenrico Senna, presidente Siaaic e professore di Malattie respiratorie all’Università di Verona.
Ma i rischi per la salute respiratoria coinvolgono anche le persone che non usano stufe a pellet, a causa delle misure restrittive dei consumi di gas: la riduzione della temperatura massima a 19° e della durata del riscaldamento in casa e nei luoghi pubblici potrebbe indurre le persone a tenere le finestre chiuse, cosa che favorisce la concentrazione di acari e di altri allergeni che possono danneggiare le prime vie respiratorie, più facili da raggiungere per virus e batteri.
Gli esperti mettono in guardia anche dal ricorso frequente e massiccio alle candele contro possibili blackout: possono rilasciare nell’aria di casa fumi irritanti, dannosi soprattutto per i bambini e per chi soffre di asma e allergia.
“Anche il fumo delle candele non è senza rischi per le nostre vie respiratorie – afferma Senna – Infatti, un recentissimo studio pubblicato sulla rivista Indoor Air da esperti della Università di Lund in Svezia mostra che la combustione di candele rilascia nell’aria di casa emissioni di fumo, alcune delle quali preoccupanti per la salute respiratoria”.
Sanna conclude con l’invito agli italiani a “fare più attenzione ai consumi di energia, ma non a scapito del proprio benessere. Se le abitudini degli italiani cambieranno per far fronte alla crisi energetica, esponendoli inconsapevolmente ad altre fonti di inquinamento al chiuso, anche i costi del Sistema sanitario nazionale per le malattie allergiche e respiratorie potrebbero impennarsi per l’aumento delle patologie a carico delle vie aeree”.
Fonte:affaritaliani.it
Cosa sta per decidere l’Ucraina sul pellet e perchè ci interessa
l governo ucraino deciderà se vietare l’esportazione di tutto il legname da riscaldamento, compreso il pellet, nonostante la domanda interna sia limitata. Questo potrebbe causare la chiusura di molte aziende ucraine e potrebbe avere ulteriori ricadute sul prezzo del pellet in Italia

Il governo ucraino si prepara a vietare l’esportazione di ogni prodotto del legno che possa essere utilizzato come materiale per il riscaldamento. Il provvedimento andrà in consiglio dei ministri mercoledì 19 ottobre e non piace a tutti. Potrebbe inoltre avere ripercussioni in Europa: come si sa, il prezzo del pellet nel nostro paese è già più che triplicato, al dettaglio, rispetto al 2021. La guerra della Russia contro l’Ucraina è una concausa. Va premesso che la materia prima per produrre pellet in tutta Europa proveniva principalmente da Russia, Bielorussia e Ucraina. Ora non arriva più dalle prime due (per le sanzioni, tranne qualche furbetto che trova il modo di aggirarle) e arriva con più fatica dalla terza (per le difficoltà di trasporto dovute appunto alla guerra su larga scala).
In Ucraina si discute da tempo dell’esportazione del legno da riscaldamento. Da anni c’è un confronto con l’Unione europea su una moratoria decisa nel 2015 sull’esportazione della materia prima. Inoltre nel paese c’è chi sostiene che si debba anzitutto proteggere le foreste, anche se altri sottolineano che il provvedimento di moratoria non ha impedito, anzi ha favorito, il contrabbando di legname, fallendo l’obiettivo di una maggior tutela degli alberi. Il dibattito, con la guerra, è cambiato: ora in Ucraina c’è chi teme che il riscaldamento invernale sarà più complicato e che sia corretto assicurarsi anzitutto quanta più riserva possibile di materia prima. Tuttavia diversi produttori fanno notare che la soluzione migliore non sarebbe quella di vietare l’export di ogni materiale ligneo da riscaldamento, e sono seriamente preoccupati per quanto il governo ucraino andrà a decidere. Vediamo perché.
Dominio dell’export
Il fatto che il legno ucraino sia una ‘base’ fondamentale per produrre pellet a livello europeo comporta anche che l’industria del pellet ucraino si sia da tempo orientata verso l’esportazione, attraverso partnership a lungo termine con clienti stranieri, l’ottenimento di certificazioni riconosciute dall’Ue e così via. Sforzi e rapporti che si spezzerebbero. Secondo il servizio doganale statale, l’Ucraina, nel 2020, esportava pellet per 464.522 tonnellate. Nel 2021 il dato è sceso a 412.070 tonnellate. La quota maggioritaria va in Polonia (117mila tonnellate nel 2021), mentre l’Italia è il secondo paese (60.540 tonnellate). Seguono Romania, Bulgaria e Germania. Sempre nel 2020, la produzione di pellet in Ucraina è stata di 512.300 tonnellate. Appena 50mila, più o meno, quelle destinate al mercato interno.
Ma perché in Ucraina il mercato interno di pellet quasi non esiste? Semplicemente perché utilizzarlo non conviene. Occorre possedere una caldaia specifica, più costosa di quelle a legna, e i governi ucraini non hanno mai varato sussidi per l’acquisto. Il costo della legna da ardere, poi, è molto inferiore a quello del pellet. Secondo i calcoli forniti da alcuni produttori, riscaldare una casa media in Ucraina con legna da ardere costa fino a 10mila grivne (circa 300 euro) per la stagione, mentre col pellet la spesa sale fino a 85mila grivne (oltre 2mila euro).
L’appello
La scarsa domanda interna di pellet è ampiamente coperta da alcuni produttori specializzati nel mercato domestico. Questo significa che, se il governo vietasse l’esportazione di ogni combustibile del legno, pellet compreso, condannerebbe alla chiusura i produttori che, per l’assenza di domanda interna, non avrebbero più alcun mercato. Non è infatti pensabile che, all’improvviso, milioni di ucraini decidano di utilizzare pellet per riscaldarsi, visto che costa molto più della normale legna da ardere. E la più recente strategia russa di bombardare le infrastrutture elettriche per far rimanere gli ucraini al buio e al freddo non si neutralizzerebbe col pellet: non sarebbe possibile la riconversione immediata e, comunque, le stufe a pellet hanno bisogno di energia elettrica per funzionare.
Di qui una lettera-appello al governo ucraino con cui numerosi produttori concordano sul divieto di esportare legna da ardere, poiché è il materiale utilizzato per riscaldare gran parte degli edifici e dei servizi pubblici. “Nelle attuali condizioni di crisi – scrivono – è assolutamente impraticabile esportarla, anzi è necessario creare una riserva strategica”. Al contempo, chiedono con forza che il pellet sia escluso dal divieto d’esportazione: “Nelle attuali condizioni di guerra – si legge – l’industria del pellet è una fonte stabile di proventi da esportazione di valuta estera, creazione di posti di lavoro e sviluppo di industrie collegate. Se le esportazioni saranno vietate, la maggioranza assoluta delle aziende sarà costretta a interrompere la produzione a causa della mancanza di domanda in Ucraina”.
Tutti perdono
L’aumento del prezzo del pellet in Europa, dal punto di vista dell’economia ucraina, pone un motivo in più per non vietarne l’esportazione. Non tanto per i maggiori ricavi (sono aumentati per esempio i costi di trasporto), quanto per il flusso di valuta estera, ancor più importante mentre perdura la guerra. Dal punto di vista europeo e italiano, poi, un eventuale divieto di esportazione del pellet causerebbe ricadute negative sull’approvvigionamento di un materiale con cui le famiglie riscaldano le loro case, nonché un ulteriore innalzamento dei prezzi al dettaglio. Vedremo ora se il governo ucraino ascolterà l’allarme dei produttori.
Fonte:todayeconomia
Risparmio energetico, attenzione alle multe: come usare in sicurezza camini e pellet
In vista della stagione invernale e con il caro bollette che si fa sempre più sentire, la parola chiave è “risparmio energetico”. Per spendere meno c’è chi è pronto a tenere spenti i termosifoni, servendosi esclusivamente di stufe e camini. Però non tutti sono a norma: attenzione alle multe, che in alcuni casi potrebbero essere piuttosto salate. Come scaldare la casa in sicurezza e in che modo evitare le sanzioni?
Crisi del gas, tutti i trucchi per risparmiare suggeriti dall’ENEA
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Sono tanti gli italiani che si adoperano per abbattere i costi e ridurre le spese. Luce e gas sono sempre più cari e i termosifoni rischiano di far salire ulteriormente i prezzi. Così, per risparmiare, in molti dicono addio ai caloriferi e preferiscono stufe, pellet e camini.
Eppure non basta avere a disposizione un camino o possedere una stufa per stare tranquilli: se non sono a norma, si rischia di incappare in sanzioni non di poco conto, per un massimo di ben 5000 euro. Il motivo? Le leggi introdotte da alcune Regioni negli anni addietro, prima della crisi energetica.
Tra le leggi introdotte da diverse Regioni per contrastare l’inquinamento atmosferico vi sono provvedimenti che vietano l’uso di stufe e camini a biomassa. Non potranno quindi essere accesi gli impianti con potenza al focolare fino a 10kW.
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Falsi miti sul risparmio energetico in casa, sfatiamone 4
Il caro energia si fa sentire sempre di più con l’inflazione alle stelle e il conseguente aumento dei prezzi del cosiddetto carrello della spesa, ma anche delle bollette di luce e gas, che sta facendo passare alle famiglie italiane un vero e proprio periodo nero. Come eliminare gli sprechi per risparmiare sui consumi di energia è l’interrogativo di sempre più persone. Tuttavia, bisogna stare attenti a non cadere in falsi miti, errori o equivoci, che possono portare ad un risparmio per lo più illusorio, che finisce per gravare ancora di più sul proprio portafoglio. Quali sono i principali miti da sfatare, quindi? Per scoprirlo, guarda il nostro video
Dall’1 gennaio 2020 la norma è in vigore anche in Lombardia e coinvolge tutti gli impianti che non sono di ultima generazione. Per non incappare in sanzioni, stufe e camini devono avere almeno 4 stelle per quanto riguarda le emissioni. Per gli impianti a pellet è richiesto l’uso di materiale conforme alla classe A1 della norma UNI EN ISO 17225-2. Inoltre, la potenza termica deve essere minore di 35kW. Fa eccezione la provincia di Brescia. Con una una delibera del 2021, la Lombardia ha derogato fino al 15 ottobre 2024 l’uso degli impianti domestici a legna e pellet sotto i 10 kW.
Il provvedimento – e il conseguente rischio di multe – esiste anche in Veneto. Non sono a norma gli impianti con classe di prestazione emissiva inferiore a 2 e 3 stelle. Il divieto riguarda anche l’istallazione entro il 31 dicembre 2019 di stufe e camini con meno di 4 stelle.
Le limitazioni interessano anche i cittadini piemontesi. Il divieto riguarda l’istallazione dall’1 ottobre 2018 di generatori con una potenza nominale più bassa di 35 kW e classe di prestazione al di sotto di 4 stelle.
In Emilia Romagna, invece, non sono a norma camini, stufe a legna o pellet con classe 1 e 2 stelle, installati negli appartamenti in cui è presente un sistema domestico a gas e nei comuni sotto i 300 metri di altitudine.
Fonte:yahoo.it
Pellet, come cambia lo standard ENplus®
Si è concluso dopo quasi cinque anni il processo di revisione dello schema di certificazione standard del pellet: maggiore tracciabilità e sorveglianza, nuovi parametri e governance trasparente. Tutte le novità.

Si è concluso il processo di revisione degli standard ENplus®.
Con la pubblicazione dei nuovi documenti di certificazione (vedi in basso), che introducono profonde modifiche nei requisiti di prodotto e di processo del pellet certificato, si chiude ufficialmente la revisione degli standard della certificazione ENplus®, lo schema di qualità del pellet numero uno al mondo che certifica circa l’80% del pellet impiegato nel segmento domestico/premium in Europa.
Va in pensione il vecchio manuale ENplus®, sostituito da tre distinti Standard ENplus®:
- ENplus® ST 1001: requisiti per le aziende
- ENplus® ST 1002: requisiti per gli Organismi di certificazione e di analisi
- ENplus® ST 1003: requisiti per l’utilizzo del marchio registrato ENplus®.
Big bag equiparati al pellet sfuso
A seguito della revisione ai big bag saranno applicati i medesimi requisiti richiesti al pellet sfuso. Le aziende che acquistano, movimentano e rivendono big bag dovranno valutare attentamente la necessità di ottenere una propria certificazione ENplus®, per evitare che si interrompa la catena certificata.
Maggiore tracciabilità lungo tutta la filiera
Per garantire una più facile individuazione delle cause di eventuali prodotti non-conformi, le aziende certificate dovranno irrobustire la tracciabilità dei propri fornitori di pellet sfuso.
Le grafiche dei sacchi dovranno includere un numero di serie che permetta l’identificazione dell’azienda che ha curato il confezionamento del pellet, la data e la linea d’insacco.
Nuovi parametri del pellet e auto-monitoraggio
Un’azienda che dispone di più siti potrà ora beneficiare di un’unica certificazione multi-sito.
In linea con la revisione della norma tecnica ISO 17225-2, già in vigore da giugno 2021, le analisi del pellet si estenderanno a tre nuovi parametri: densità particellare, quantità di particelle fini grossolane e quantità di pellet con lunghezza inferiore a 10 mm.
Sono stati inoltre introdotti nuovi e più dettagliati requisiti legati alle attività di auto-monitoraggio aziendale, sia del processo produttivo, sia delle fasi di caricamento (es. riempimento dell’autobotte) e confezionamento del pellet.
Novità sulle verifiche ispettive
L’Organismo di certificazione compie le proprie verifiche iniziali, annuali di sorveglianza e di ricertificazione, fisicamente e in loco: le ispezioni da remoto saranno consentite solo in casi specifici. Per garantire la continua conformità del pellet ENplus® ai requisiti di qualità sarà introdotto un ulteriore campionamento annuale “a sorpresa” presso i produttori certificati e le stazioni d’insacco.
L’Organismo di certificazione dovrà individuare e classificare le non-conformità (maggiori e minori), mentre l’azienda dovrà analizzare le cause di tali non-conformità, proponendo adeguate azioni correttive, approvate e successivamente verificate dall’Organismo di certificazione.
Governance trasparente
La revisione introduce anche un maggiore livello di credibilità dello schema ENplus®, prevedendo il processo di accreditamento dello schema stesso e richiedendo agli Organismi di certificazione di ottenere un accreditamento specifico per le proprie operazioni ENplus®.
L’introduzione di un “Programma per l’integrità della certificazione” permetterà di valutare sistematicamente le performance degli Organismi di certificazione.
Anche gli ispettori saranno tenuti a dimostrare la conoscenza del settore forestale e le proprie esperienza, abilità e competenze, anche partecipando a specifici corsi di formazione e workshop ENplus®.
Infine, l’introduzione del “Programma per l’integrità della gestione dello schema ENplus®” mira a chiarire i diritti, i ruoli e le responsabilità degli organi di governo dello schema, inclusi gli Uffici nazionali ENplus®, prevedendo controlli interni ed esterni delle loro performance.
Periodo di transizione
Gli standard revisionati entreranno in vigore il 1° gennaio 2023. Tutti i nuovi certificati emessi dopo tale data dovranno già conformarsi ai nuovi requisiti di certificazione.
Le aziende già certificate prima di tale data dovranno conformarsi ai nuovi requisiti entro il 1/1/2024 (periodo di transizione di un anno) e la conformità ai nuovi requisiti sarà valutata dall’Organismo di certificazione nel corso della successiva ispezione periodica.
Il commento di AIEL
AIEL, Associazione italiana energie agroforestali, che ha partecipato alla revisione in qualità di membro dello European pellet Council (EPC) e Organismo di gestione della certificazione ENplus® in Italia, stima che i nuovi requisiti ENplus® influiranno direttamente sulla qualità di oltre l’80% del pellet consumato in Europa nel settore domestico.
La revisione è frutto di un lavoro di quasi cinque anni che incontra le aspettative del mercato e degli operatori italiani grazie a una maggiore tracciabilità e trasparenza lungo tutta la filiera di approvvigionamento, a cominciare dai controlli aggiuntivi a sorpresa presso i produttori e le aziende di confezionamento volti a tutelare i consumatori e i commercianti “di filiera” sull’effettiva qualità dei prodotti.
L’introduzione del bilancio dei volumi e l’irrobustimento dei requisiti di tracciabilità mira a contrastare le sacche d’illegalità ancora presenti nel mercato, per evitare che pellet non certificato, anche sfuso, venga offerto in modo fraudolento come certificato ENplus®.
Sui sacchi di pellet sarà prevista la stampigliatura di un numero di serie che permetta l’individuazione dell’azienda di confezionamento e del lotto di produzione.
La gestione dei reclami viene migliorata con nuovi meccanismi di garanzia sia per i consumatori sia per le aziende certificate: saranno considerate le analisi effettuate da qualsiasi laboratorio accreditato (non solo quelli riconosciuti ENplus®) ma i costi legati alle contestazioni infondate e puramente commerciali saranno addebitati ai reclamanti.
Anche l’utilizzo del marchio ENplus® viene migliorato: a certe condizioni, i rivenditori non certificati potranno comunicare e valorizzare con più efficacia la certificazione dei prodotti ENplus® offerti – cosa che, paradossalmente, finora non era ammessa.
I nuovi programmi per l’integrità e la governance del sistema di certificazione sistema introducono efficaci meccanismi di controllo sulle attività degli Uffici nazionali ENplus e degli Organismi di certificazione, per garantire l’applicazione uniforme dei requisiti di certificazione – in primis, i criteri di verifica e approvazione delle grafiche di prodotto.
“Sono personalmente orgoglioso di questo traguardo, a cui abbiamo partecipato fin dai suoi primordi – commenta Matteo Favero, Responsabile area biocombustibili legnosi e certificazioni di AIEL -. Le prime riunioni sui princìpi di revisione risalgono al 2018 e, successivamente, ho contribuito partecipando attivamente ai lavori del comitato internazionale di revisione degli standard ENplus®”.
“Più di recente – prosegue Favero – la presenza nel Comitato direttivo dello European Pellet Council ha contribuito all’approvazione definitiva dei nuovi standard di certificazione, dopo un confronto serrato tra Bioenergy Europe/EPC e l’associazione tedesca DEPI degli standard ENplus®. L’impegno di AIEL è stato costante e ha permesso che il mercato italiano fosse rappresentato da ben tre esperti di alto profilo, su un totale ristretto di 15 partecipanti al comitato di revisione. In Italia, le aziende associate sono state coinvolte in ampie consultazioni – tra le più partecipate in Europa – sui temi della revisione. Ora si apre la sfida dell’applicazione pratica dei nuovi requisiti. Anche in questo caso l’Italia si farà trovare preparata a giocare il ruolo che merita nello scenario interna
Fonte:qualenergia
Inverno a rischio: il caro energia fa volare anche i prezzi di legna e pellet
Anche chi sperava di salvarsi dal caro bollette puntando sulla stufa a legna o a pellet rischia di dover fare i conti con carenze e prezzi alle stelle. L’aumento del costo del pellet è superiore al 100% ed è dovuto ai costi di energia per produrlo e a quelli di distribuzione. Il costo di un sacco da 15 kg di pellet è raddoppiato rispetto allo scorso anno, passando da 5 euro a 10 euro. E in alcuni casi arriva addirittura a 14 euro. Secondo le stime di Altroconsumo per riscaldare un appartamento da 100 metri quadrati, una famiglia spenderà oltre 1.300 euro nel 2022-2023, ovvero il doppio dell’anno precedente.

Pellet quasi introvabile
Il pellet, oltre ad essere sempre più costoso, sta diventando introvabile. Questo è dovuto soprattutto al fatto che l’Italia importa da altri Paesi il pellet che deriva da scarti di lavorazione del legno provenienti dalla Russia, dall’Ucraina e dalla Bielorussia. E con il blocco delle importazioni dalla Russia le catene di forniture hanno iniziato ad andare in difficoltà. Inoltre per risparmiare sui costi del gas, molte persone hanno deciso di investire sul pellet, facendo aumentare la domanda in modo esponenziale. A questo si aggiunge il fatto che il caro carburanti sta facendo aumentare il costo dei trasporti e ne consegue che anche il prezzo dei prodotti tende al rialzo.
Caro-energia, gli effetti sulle cartiere: il rischio è il blocco della filiera
Legna sempre più cara
Anche il prezzo della legna è ormai fuori controllo: siamo intorno ai 17-19 euro al quintale. Il prezzo di vendita del legname ancora in bosco, che rappresenta quindi il punto di partenza per la vendita del materiale, è raddoppiato rispetto al 2021, ha spiegato a settembre a Il Dolomiti, il funzionario del Servizio foreste della Provincia di Trento, Valentino Gottardi. «Se prendiamo in considerazione i dati raccolti nel Portale del legno nell’estate del 2021, per quanto riguarda le latifoglie il prezzo base d’asta per i lotti era di circa 30-35 euro a tonnellata, mentre nell’estate 2022 si è passati a basi d’asta di 40-60 euro a tonnellata», ha raccontato Gottardi.
Fonte:corriere.it
Il pellet: Come scegliere quello migliore?

Il pellet è uno dei combustibili naturali che permette ai consumatori di riscaldare la propria abitazione senza far fronte a costi elevati, come quelli della corrente elettrica e del gas.
Bisogna però scegliere un materiale di qualità superiore affinché il calore prodotto possa essere soddisfacente: scopriamo quindi quali sono le caratteristiche fondamentali che permettono di identificare tale categoria di prodotto.
La tipologia di pellet
La prima caratteristica che occorre prendere in considerazione in fase di scelta è la tipologia di legno che viene utilizzato per la produzione del pellet. Spesso il dilemma ricade sul faggio e sull’abete: entrambe le versioni godono di un ottimo potere calorifero e permettono, perciò, di riscaldare in modo ottimale la propria abitazione.
Indipendentemente da questa prima scelta, la vera caratteristica chiave che occorre verificare è la verginità del pellet: ma cosa significa?
Semplicemente che il combustibile non deve essere stato sottoposto a procedura di modifica meccanica, ovvero i cilindri non devono contenere sabbia, residui di vernice e altri materiali che comportano una perdita del potere calorifero e allo stesso tempo che possono arrecare dei grossi danni alla stufa.
Per questo è fondamentale verificare che nella descrizione del prodotto sia riportata tale dicitura, che indica appunto l’assenza di una lavorazione particolare che ha delle ripercussioni pesanti sulla qualità del prodotto
Il potere calorifero del pellet
Oltre alla prima caratteristica chiave prima citata, quando si deve acquistare il pellet è molto importante valutare anche il suo potere calorifero, ovvero la capacità di sprigionare calore durante la fase di combustione.
Per acquistare un buon materiale è fondamentale che questo abbia un range composto da valori compresi tra 4,5 e 5 kWh/Kg, che indicano appunto un ottimo livello di calore prodotto durante l’utilizzo.
Acquistare un prodotto che ha un potere calorifero inferiore si tramuta, infatti, in una riduzione del caldo prodotto e questo comporta l’incremento della temperatura del termostato della stufa.
La conseguenza che ne deriva è un utilizzo maggiore del pellet, quindi la sua durata sarà inferiore rispetto a un prodotto che produce maggior calore con una quantità inferiore.
Tale valore deve quindi essere necessariamente riportato sull’etichetta: se questo dovesse essere assente è consigliato scegliere un’altra tipologia di prodotto, dato che quello selezionato potrebbe non essere all’altezza delle proprie aspettative.
La provenienza del pellet
Un dato sul quale si presta molta attenzione è quello relativo alla provenienza del pellet: i maggiori produttori, oltre al nostro Paese, sono il Canada e l’Austria.
In questo frangente non è essenziale verificare da quale Paese provenga il pellet ma bensì analizzare la filiera che produce il combustibile: questa deve essere affidabile e garantire una lavorazione ottimale senza manipolazioni del materiale.
Acquistare il pellet certificato in ogni sua fase di realizzazione si tramuta nella scelta di un prodotto di ottima qualità che riesce a offrire delle prestazioni ottimali.
La dimensione del pellet e la sua consistenza
Quando si deve acquistare il pellet occorre anche analizzare la sua estetica, che permette di ottenere parecchie informazioni in merito alla qualità del prodotto.
In questo caso il primo dettaglio che occorre considerare è la dimensione: ogni cilindretto, infatti, non deve avere una dimensione che superi gli otto millimetri e che non sia inferiore ai sei.
Questo per due semplici dettagli: se il pellet dovesse essere più piccolo, questo verrebbe bruciato con maggior rapidità, quindi la quantità necessaria per poter riscaldare adeguatamente la propria abitazione potrebbe essere piuttosto consistente.
Se invece il pellet dovesse essere più grande della misura massima consigliata, la quantità di cenere prodotta può essere eccessiva e inoltre le tempistiche per una combustione adeguata potrebbero aumentare notevolmente.
Bisogna anche toccare con mano il pellet per capire effettivamente la sua consistenza: se questo dovesse essere troppo rigido, quindi si fa fatica a spezzarlo, il combustibile è caratterizzato da una quantità eccessiva di materiali leganti e ciò comporta diverse situazioni negative per la stufa.
Questo poiché, oltre a una produzione di cenere eccessiva al termine della combustione, questa si potrebbe appiccicare alle pareti della stufa, quindi comportare lo svolgimento di una serie di operazioni complesse per pulire la stufa e quindi fare in modo che questa possa essere sfruttata senza riscontrare grossolane difficoltà.
Inoltre esiste anche un test che può essere svolto per verificare se il pellet è di prima qualità oppure no: in questo caso bisogna immergere il cilindretto in un recipiente d’acqua.
Se il materiale galleggia, allora si è di fronte a un combustibile di prima qualità mentre, in caso contrario, si rischia di usare un prodotto poco convincente che non offre quella prestazione ottimale e che, di conseguenza, comporta una serie di potenziali difficoltà specialmente al termine della combustione.
La percentuale di umidità
Tornando ad analizzare le informazioni che devono essere riportate nell’etichetta, tra di esse deve essere necessariamente presente la percentuale di umidità che contraddistingue il combustibile.
Il pellet migliore è quello che ha una percentuale compresa tra l’otto e il dodici percento massimo, che indicano un range ottimale che assicura non solo un potere calorifero ottimale ma anche la quasi totale assenza di ceneri prodotte.
Il combustibile, qualora dovesse avere una percentuale di umidità superiore, deve essere scartato in quanto il calore prodotto non viene emanato dalla stufa ma, al contrario, verrà impiegato per asciugare il pellet.
Inoltre un materiale troppo umido produce una quantità di cenere elevata, quindi le operazioni di manutenzione che devono essere svolte saranno superiori rispetto a quelle ordinarie.
Come per il potere calorifero, anche in questo caso si fa riferimento a un dato che deve essere ben presente nell’etichetta del pellet, quindi fare in modo che un cliente possa avere una panoramica completa in merito alla qualità del suddetto prodotto.
Qualora tale informazione dovesse essere assente è bene focalizzare la propria attenzione su un’altra qualità di prodotto, visto che il grado di umidità potrebbe essere superiore allo standard accettabile.
La quantità di polvere e la cenere
Sempre nell’etichetta deve essere riportato anche il quantitativo di cenere che viene prodotto durante la combustione del materiale.
In questo caso è consigliato acquistare sempre un combustibile la cui quantità indicata è pari all’uno percento: un dato superiore indica non solo che il materiale di scarto prodotto sarà piuttosto elevato e allo stesso tempo si rischia di dover svolgere un’ampia serie di operazioni che permettono di pulire la stufa.
Come per gli altri dati, se questa informazione non viene riportata nell’etichetta è bene non acquistare quel prodotto in quanto questo potrebbe non essere stato sottoposto a una serie di controlli adeguati.
Per capire poi se il combustibile tende a essere ottimale, è importante controllare la quantità di polvere presente nella confezione stessa.
Se nella busta è presente molta polvere, il pellet in questione potrebbe non essere adeguato in quanto questo, oltre a sgretolarsi facilmente, produce una quantità di cenere elevata e inoltre i materiali di scarto sono presenti in quantità eccessiva.
Per quanto riguarda il colore del pellet, invece, questo è poco influente dato che la tonalità dei cilindri dipende dal processo di essiccazione che può essere la causa che ne comporta il cambiamento di colorazione: quindi un pellet scuro, se di qualità, ha lo stesso potere calorifero di uno chiaro.
La certificazione del pellet
Un aspetto molto importante che merita la massima attenzione in fase di scelta è rappresentato dalle certificazioni: se queste dovessero essere assenti è importante evitare di acquistare il pellet.
Il marchio En Plus deve essere presente in quanto questo, basandosi sulla normativa EN 14961-2, indica che tutti i vari controlli sulla filiera sono stati svolti correttamente e allo stesso tempo questi sono stati superati.
Tale certificato, inoltre, permette di contraddistinguere le tre categorie di pellet, ovvero la A1, che ha una quantità di ceneri pari allo 0,7 percento, la A2, che invece indica un pellet che produce una quantità di cenere pari all’1,2% mentre la classe B è quella che produce una quantità di cenere superiore, ovvero il 2 percento.
Il dato della certificazione in questione deve essere presente: senza di esso si rischia di acquistare un prodotto che potrebbe non essere sottoposto a tutti i controlli necessari che permettono di identificare un combustibile sicuro da utilizzare e totalmente privo di difetti.
Allo stesso tempo è possibile trovare anche diversi altri certificati come DinPlus, di origine tedesca e riconosciuto a livello internazionale: questo è rilasciato dall’ente TÜV Rheinland Gruppe e del DIN e appunto indica la massima qualità del prodotto.
Esiste pure il certificato austriaco Önorm, che fa riferimento alla normativa austriaca ÖNORM M7135 e che riguarda la lavorazione del pellet.
In questo caso il prodotto è sottoposto a una serie di controlli ben precisi che permettono a tutti gli effetti di entrare in possesso di un prodotto la cui qualità non viene mai messa in secondo piano.
Infine vi è l’etichetta Pellet Gold: in questo caso non si parla di un certificato vero e proprio ma di un attestato che indica l’ottima qualità del materiale.
Se i certificati sono assenti, come detto prima, è meglio acquistare un altro pellet.
Fonte:edilizia.com
Come togliere il pellet dalla stufa
Ti stai chiedendo come togliere il pellet dalla stufa?
La manutenzione ordinaria della stufa a pellet garantisce un dispositivo più duraturo, a prova di guasti, e una maggiore efficienza termica. È fondamentale capire come togliere il pellet dalla stufa, andando a eliminare le ceneri e i residui cristallizzati con gli strumenti giusti. Questa pulizia andrebbe affrontata almeno una volta a settimana, per un utilizzo efficace e sicuro del nostro dispositivo a pellet, in modo da evitare che si danneggi. La manutenzione della stufa è la buona abitudine che permette di avere un riscaldamento efficace e di evitare il rischio di guasti e problemi vari.
Come togliere il pellet dalla stufa: la pulizia del braciere
Se vuoi capire come togliere il pellet dalla stufa e mantenerla sempre pulita, devi sapere che la pulizia del braciere permette una migliore combustione ed evita mancate accensioni, andando a incidere positivamente anche sul consumo di combustibile. Eliminare il pellet residuo dal breciere della stufa è molto semplice, e basta estrarre manualmente il braciere oppure aspirare i residui con l’aspiracenere. In questo modo eviterai che i residui ne impediscano la corretta accensione. Green Puros propone l’utilizzo di alcuni prodotti per facilitare le opere di manutenzione ordinaria, per esempio un bruciatore autopulente ti aiuterà a mantenere l’efficienza dei dispositivi senza stress.
Ricordate che un accumulo di detriti inusuale nel braciere potrebbe dipendere sia dalla qualità del pellet che dal tiraggio dei tubi di scarico. Abbiamo già visto come un pellet di qualità tenderà a lasciare meno ceneri e residui alla fine della combustione.
Inoltre, se lo scarico non ha un tiraggio ottimale l’ossigenazione sarà scarsa, e così la fiamma del bruciatore non sarà al meglio, rendendo la combustione inefficace e incompleta, e creando più residui del necessario. Infine, è proprio il tiraggio dei tubi di scarico che dovrebbe togliere la cenere residua dal bruciatore. Come si intuisce facilmente, una stufa è un meccanismo dove ogni pezzo è fondamentale per il funzionamento dell’altro. Per questo la pulizia della canna fumaria va effettuata ogni stagione, e non c’è un pezzo meno importante di un altro. Ogni parte della stufa ha bisogno di cura e attenzione, per un riscaldamento piacevole ed efficiente.
Come togliere il pellet e i suoi residui dal serbatoio
Si intuisce facilmente che il serbatoio del pellet è quello dove troveremo maggiori residui di polvere a fine stagione.
A questo punto, vediamo come togliere il pellet residuo, in forma di polveri, dal serbatoio.
Avremo bisogno inevitabilmente di un bidone aspiratutto. L’aspirapolvere potrebbe venire danneggiata da questi residui, che potrebbero compromettere il motore di questo elettrodomestico. Il bidone aspiratutto, poiché nasce per le pulizie nei cantieri e nelle zone di lavoro, non risentirà dei residui grossi e piccoli che troverà nella nostra stufa.
Una volta aspirato con attenzione tutto il serbatoio, particolare diligenza andrà riservata al condotto attraverso il quale i pellet arrivano al braciere: mantenerlo in perfette condizioni è lo step fondamentale per una stufa capace di lavorare alla perfezione per molto tempo.
Non trascuriamo anche gli angoli del serbatoio. Basterà munirsi di un pennello e spazzolare con attenzione per eliminare anche il più piccolo residuo.
Ogni modello di stufa ha qualche piccola variazione, a seconda di determinate scelte di design; il modello PiGreco della Green Puros, studiato per occupare gli angoli della casa, presenta delle aperture laterali, per una manutenzione completa della stufa senza bisogno di nessuno spostamento. Nella maggior parte dei casi, però, si accede al serbatoio da un’apertura frontale, così da rendere più semplice il carico di pellet.
Una volta che abbiamo controllato e pulito di tubi di scarico, dopo aver restituito il braciere al suo splendore e aver spolverato a fondo il serbatoio che contiene il materiale combustibile, non resta che occuparsi della parte più esterna della nostra stufa.
Pulire la stufa a pellet: il vetro
Il vetro che ci separa dal fuoco, lasciandoci intravedere la fiamma con la sua bellissima atmosfera, richiede una pulizia attenta ma delicata. C’è naturalmente una ragione estetica: un vetro annerito e sporco darà un aspetto trascurato alla vostra casa, vanificando l’atmosfera avvolgente che la stufa dovrebbe donare con il gioco di luci della combustione. Ma pulire il vetro non ha a che fare solo con una piacevole estetica.
Abbiamo visto che pulire una stufa a pellet equivale a una vera e propria manutenzione del nostro riscaldamento, e il vetro non fa eccezione. Pulire con costanza il vetro permetterà di allontanare il rischio di danni alle guarnizioni, salvaguardando, in questo modo, l’efficienza della stufa.
Attenzione ai detersivi: bisogna scegliere prodotti di qualità ma soprattutto specifici per le stufe a pellet.
Durante l’utilizzo quotidiano, il vetro va pulito con un panno asciutto, in quanto dovrebbe essere sporco solamente di polveri.
Se il vetro dovesse annerirsi, questo è sintomo di cattiva combustione e potrebbe dipendere da vari fattori, come: la qualità del pellet, il tiraggio della canna fumaria o la regolazione di alcuni parametri che possono essere modificati solamente da un Centro Assistenza.
Tuttavia, nel caso di un vetro annerito, è sufficiente utilizzare un normale detergente per vetri, facendo attenzione a non utilizzarlo sulle vernici.
Come togliere il pellet dalla stufa: la manutenzione straordinaria
La manutenzione straordinaria, o pulizia stagionale, va effettuata almeno una volta l’anno da un tecnico specializzato.
Per la pulizia dello scambiatore termico, come per la canna fumaria, c’è bisogno di competenza in materia e degli strumenti giusti per una pulizia ottimale, bisogna affidarsi a tecnici competenti con una licenza apposita, per essere sicuri che l’impianto risponda alle specifiche della normativa UNI 10683. Solo con dei tecnici esperti potremo essere sicuri di rimanere al riparo da guasti o sanzioni e goderci il nostro riscaldamento a pellet in tutta serenità anche il prossimo inverno.
Fonte:greenpuros